Nella settimana in cui il mondo intero stava con il fiato sospeso in attesa degli ansimati accordi di pace per Gaza, un pezzo di mondo si stava riunendo a Roma per celebrare il Giubileo con papa Leone XIV, coloro che hanno scelto la vita consacrata: religiosi e religiose, monaci e contemplative, eremiti, e membri di diverse forme di vita consacrata. Anche noi Cooperatrici pastorali diocesane, partite il martedì 7 ottobre da Treviso con tre pulmini, eravamo presenti.
Abbiamo trovato la capitale come sempre stracolma di gente, di turisti, di passanti, di pellegrini, ma questa volta il colpo d’occhio cadeva soprattutto sui numerosi religiosi e religiose con gli abiti dai diversi colori e stili, provenienti in migliaia da tutti i continenti.
Nelle mattine centrali di mercoledì 8 e giovedì 9 ottobre ci siamo svegliate presto per raggiungere in tempo piazza San Pietro e trovare posto per l’udienza generale del Papa, il mercoledì, e la Messa, il giovedì. Sotto un cielo soleggiato e senza nuvole abbiamo partecipato a questi eventi come piccolo gruppo, ma parte di una grandissima famiglia unita. Nell’omelia papa Leone ha riletto i tre verbi del vangelo di Luca in chiave di consigli evangelici: “chiedere” nella povertà, “cercare” nell’obbedienza e “bussare” per offrire a tutti la carità di Cristo. E attraverso queste azioni, che corrispondono al compito di ogni consacrato e consacrata, il mondo – ha sottolineato Leone XIV – riconosce il volto di Cristo che cammina in mezzo a noi oggi. Il Papa è stato accolto da grande affetto dall’assemblea di piazza San Pietro, che l’ha applaudito in tutto il percorso fatto con la papamobile entrambe le mattine.








Forse il momento più emblematico del Giubileo è stata la lunga peregrinazione da via della Conciliazione fino alla Porta Santa, perché è stato un sentirsi anche fisicamente dentro una Chiesa di fratelli e sorelle da tutti gli angoli del mondo che camminano nella stessa direzione, dietro a una grande croce di legno tenuta in mano da un pellegrino, che segnava il cammino e le pause. Sono affiorati nei nostri cuori vari sentimenti, quelli che tutti possiamo provare in qualche momento della vita cristiana. C’è stata la fatica del camminare sotto il sole e il caldo delle prime ore del pomeriggio romano, e anche l’allegria delle voci che si univano in lingue diverse nello stesso canto. C’è stato un momento di sconforto e di esitazione, affrontando la peregrinazione, nel vedere la lunghezza interminabile della coda, ma anche la tenacia nel superare la tentazione di mollare e nel voler continuare a seguire il cammino con tutti i pellegrini. In circa due ore, tra canti e qualche preghiera, siamo giunte davanti alla Porta Santa. E il pensiero in pochi secondi è andato alla lunga tradizione della Chiesa, al significato di quella Porta che ordinariamente si apre appena ogni 25 anni, e a quanti fedeli vi sono passati nei secoli, a quante vite desiderose di rinnovamento, di conversione, di grazia. E noi con loro.






Il nostro pellegrinaggio si è concluso il giovedì pomeriggio con la visita a due chiese che serbano la memoria di grandi testimoni della fede: la basilica di Santa Maria Maggiore dove è custodita la tomba di papa Francesco, semplicissima, e la chiesa di Santa Prassede, che conserva i resti di più di duemila martiri ed è preziosa per i suoi mosaici antichi.






Nel viaggio di ritorno, la tappa nella sede di Pax Christi a Firenze e il dialogo con un responsabile, ha sugellato il nostro pellegrinaggio giubilare di Cooperatrici, rilanciandoci nelle nostre comunità facendo tesoro delle parole di papa Leone: seguire Cristo Risorto nelle condizioni ordinarie della vita ed essere costruttrici di ponti, portatrici di speranza e di pace, promotrici della fratellanza universale.






