Mi chiamo Francesco, ho quarant’anni, sono entrato in seminario otto anni fa. Da vari anni ai seminaristi di Treviso è proposta l’esperienza di un tempo prolungato all’estero, presso una delle zone di missione: Ciad, Brasile o Paraguay. Quest’anno io e Matteo siamo andati in Paraguay, da metà settembre a metà novembre.
È stata la mia seconda esperienza prolungata all’estero: prima di entrare in seminario avevo già vissuto mezzo anno fuori Italia, per lavoro.
Sono stati per me due mesi particolari, di “passaggio”: situati al termine della vita comunitaria in seminario, e prima di vivere “stabilmente” in parrocchia.
Io e Matteo ci siamo inseriti nella vita cristiana e sociale locale dei quattro paesini del sud Paraguay dove operano i nostri missionari diocesani, in una zona del mondo non povera ma piuttosto semplice ed essenziale. Pianure sterminate, strade di sabbia, mucche, pecore e cavalli ovunque, casette talvolta malconce. Una vita del “campo” semplice, molto agreste. Le parrocchie centrali vivono la messa una volta la settimana, le numerose comunità più sparse vengono invece raggiunte una volta al mese.
Tutto è abbastanza differente da qui, e i confronti hanno poca utilità!
Abbiamo incontrato molte persone e in ciascuna abbiamo trovato accoglienza e simpatia. Mi ha sorpreso vedere i percorsi – semplicissimi – di accompagnamento alla fede che alcune persone chiedevano di fare! Mi ha sorpreso il sorriso di moltissime persone, anche le più sconosciute.
Ringrazio di cuore il seminario di Treviso, i missionari lì presenti e la parrocchia di Camposampiero perché hanno permesso e curato questa esperienza, e mi hanno consentito di vedere una realtà cristiana e sociale diversa dalla nostra. E questo è sempre arricchente. E ringrazio il Signore, che sempre si prende cura di me, attraverso i modi più sorprendenti! Francesco Tesser
Paraguay: un tempo per…
Il tempo passato in Paraguay è stato un tempo per decostruirmi. Tutti gli schemi con i quali per 29 anni ho letto la realtà che ho abitato, lì ho provato a metterli da parte.
Il tempo passato in Paraguay è stato un tempo per condividere la vita con due preti (che non conoscevo) e con due cooperatrici pastorali (che conoscevo ancora meno). Vivere insieme a persone che non si sceglie è sempre un’esperienza che richiede una certa fatica, ma al di là di questa, ogni volta mi stupisco di quanto nelle persone che Dio mette al mio fianco io ritrovi i segni del Suo prendersi cura.
Il tempo passato in Paraguay è stato un tempo per “compartir”. Cosa significa? Il “compartir” (letteralmente – credo – “condividere”) ha assunto ogni volta una forma diversa. È stato l’essere accolto dovunque andassi con delle sedie di plastica e del Mate/Tererè. È stato festeggiare il mio compleanno un sacco di volte e il più delle volte con delle persone che non conoscevo. È stato mangiare un’infinità di volte asado a la estaca, chipa e sopa ascoltando e parlando (un po’) una lingua che non conoscevo. È stato parlare di Aristotele, Platone e vocazione in una fredda sera nell’immensa campagna del Sud Paraguay. È stato conoscere Crispìn, Gerònima, Pedro, Luìs, Dante, Marta, Jorge, Laura, Mario, Celsa e tanti altri che non posso nominare perché ho già sforato i caratteri.
Il tempo passato in Paraguay è stato un tempo per sperimentare che alcune cose di me – belle e meno belle – me le porto dietro sempre: anche se cambio continente, lingua e cultura. Forse, allora, prima di sperare che cambi il “fuori”, c’è da continuare a fare pace con il “dentro”.
Il tempo passato in Paraguay è stato tante altre cose che qui non posso scrivere, e che forse non ho ancora capito. Ma non è un problema, se vengono da Dio, prima o poi si faranno avanti. Il paraguayo vive il presente e forse – oggi – posso fare anch’io un po’ così. Matteo Mason